giovedì 9 gennaio 2014

Iraq: le violenze contro i cristiani

ASIA/IRAQ - L'Ayatollah al-Sistani: le violenze contro i cristiani sono una minaccia per tutto il Paese
Najaf (Agenzia Fides) – Le violenze che colpiscono i cristiani in Iraq rappresentano un danno per l'intero Paese. E' questa la convinzione espressa dal grande Ayatollah Ali al-Husayni al-Sistani durante l'incontro avuto mercoledì 8 gennaio con una delegazione della Comunità di Sant'Egidio ricevuta in udienza dalla maggiore guida spirituale e politica degli sciiti iracheni nella città santa di Najaf. Lo rendono noto fonti locali consultate dall'Agenzia Fides, che riportano i contenuti di una conferenza stampa tenuta dopo l'incontro da Andrea Trentini, membro della delegazione di Sant'Egidio. Nel colloquio – ha spiegato Trentini – al-Sistani ha manifestato la sua piena solidarietà ai cristiani iracheni, ribadendo che occorre preservare la presenza delle comunità cristiane autoctone nel Paese e che le violenze mirate di cui esse sono vittime rappresentano una minaccia per l'intero Iraq.
La delegazione della Comunità di Sant'Egidio si trova in Iraq per partecipare a un simposio sui temi della convivenza e del dialogo tra le confessioni religiose. (GV) (Agenzia Fides 9/1/2014).

I fedeli cattolici hanno il diritto di continuare a utilizzare la parola “Allah” per riferirsi a Dio: 109 denunce

ASIA/MALAYSIA - Questione “Allah”: oltre 100 denunce al Direttore del settimanale cattolico Herald
Kuala Lumpur (Agenzia Fides) – P. Lawrence Andrew, sacerdote malaysiano e Direttore del giornale cattolico “Herald”, settimanale diocesano di Kuala Lumpur, è indagato dalla giustizia malaysiana e rischia di essere incriminato e processato per “sedizione”. Come riferito a Fides dalla Chiesa locale, 109 denunce sono state depositate contro di lui, per aver affermato in un articolo sul numero di “Herald” del 27 dicembre che i fedeli cattolici hanno il diritto di continuare a utilizzare la parola “Allah” per riferirsi a Dio. Nell’articolo, visionato da Fides, p. Andrew citava, come prova evidente, una preghiera cristiana di oltre cent’anni fa, in lingua malese, in cui si usava il nome “Allah”.
“La situazione è piuttosto grave. C’è grande preoccupazione nella Chiesa cattolica, perchè la vicenda ha preso una brutta piega”, spiega all’Agenzia Fides fra Augustine Julian, missionario dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Kuala Lumpur, ex segretario della Conferenza Episcopale della Malaysia. “L’indagine della magistratura in corso è una sottile forma di pressione verso tutti i cristiani. C’è forte preoccupazione nella comunità e tensione con gruppi islamici radicali”, aggiunge Julian. Anche i Vescovi della Malaysia, che in questi giorni sono riuniti a Johor, per una riunione della Conferenza episcopale, “esamineranno certo la delicata questione”, nota Julian, anche se è probabile che non vi sarà un intervento ufficiale. Quello che si teme è una escalation che potrebbe sfociare in violenza.
L’apertura di una indagine su p. Andrew giunge dopo un altro episodio critico: il recente sequestro di oltre 300 bibbie da parte della polizia nello stato di Selangor (vedi Fides 3/1/2014). Il Dipartimento per gli affari religiosi nello stato ha giustificato l’atto – che ha suscitato forti polemiche – perchè le bibbie, scritte nella lingua locale “Bahasa”, usano la parola “Allah”. Sul caso, la “Bible Society of Malaysia (BSM), proprietaria delle bibbie sequestrate, ha chiesto al governo di Selangor di approvare formalmente la “Dichiarazione 10 punti”, emessa dal governo federale della Malaysia nel 2011. La Dichiarazione consente alla comunità cristiana di “stampare, importare e distribuire la Bibbia nelle lingue indigene malesi all'interno del paese”, ponendo determinate condizioni sulla distribuzione nella Malaysia peninsulare. La BSM afferma di aver rispettato tali condizioni e che le bibbie erano riservate alle chiese di Sabah e Sarawak (nel Borneo malaysiano) e ad alcuni indigeni cristiani di lingua malay residenti nella penisola. Il primo ministro dello stato di Selangor, Abdul Khalid Ibrahim, ha ordinato ieri alla polizia di restituire le Bibbie, in ossequio alla Dichiarazione.
La disputa sull'uso del termine “Allah” da parte dei non-musulmani è scoppiata all'inizio del 2009, quando il Ministero degli interni ha revocato il permesso di pubblicazione del giornale cattolico “Herald”, perché lo utilizzava. La Chiesa cattolica ha avviato un ricorso legale, sostenendo la violazione dei suoi diritti costituzionali. Nello stesso anno un tribunale ha accolto la tesi della Chiesa. La successiva sentenza della Corte di appello, a ottobre 2013, ha ripristinato il divieto. I musulmani costituiscono oltre il 60% per cento dei 28 milioni di malaysiani, mentre i cristiani rappresentano circa il 9%. (PA) (Agenzia Fides 9/1/2014)

Parla il Dalai lama

ASIA/INDIA - Il Dalai Lama: “La conversione forzata è un ossimoro”
Bangalore (Agenzia Fides) – Il Dalai Lama disapprova la “conversione forzata” da una fede all’altra, definendo l’espressione “conversione forzata” un “ossimoro”, cioè l’accostamento di due termini del tutto opposti fra loro. La conversione, infatti “è un atto che tocca il profondo della coscienza umana” che nessuno può costringere o forzare in alcun modo. Come riferito a Fides, il Dalai Lama ha parlato alla Convention dell’Associazione delle scuole anglo-indiane, tenutasi nnei giorni scorsi in Karnataka, uno stato indiano noto per problemi, conflitti e tensioni interreligiose, soprattutto a causa della presenza di gruppi estremisti indù che spesso accusano spesso i cristiani di operare “conversioni forzate”. Il Dalai Lama riconosce che “i cristiani aiutano la società con programmi sociali nell’istruzione e nella sanità” e, se fanno proselitismo, “questo è sbagliato”, ha aggiunto. Ma coartare il nucleo di coscienza di un essere umano è impossibile. Il leader religioso ha ricordato che anche organizzazioni buddiste come “Rama krishna” operano nelle aree rurali, a beneficio delle popolazioni più povere ed emarginate, “senza chiedere o aspettarsi nulla in cambio”.
Il leader spirituale tibetano ha poi stigmatizzato la questione della “corruzione” come “il più grande cancro della società” e ha invitato l’India ad affrontare seriamente il problema. Una “giusta educazione, i principi morali, la disciplina e la pace interiore sono la via per combattere la corruzione”, ha spiegato. (PA) (Agenzia Fides 9/1/2014)

I bisogni dell’ospedale non si fermano e alcuni servizi, come gli ambulatori e le visite prenatali, riaprono

AFRICA/SUD SUDAN - Continuano gli scontri nonostante le trattative di pace avviate: feriti e sfollati
Lui (Agenzia Fides) - Resta alta l’allerta in Sud Sudan, dove pochi giorni fa una ventina di feriti sono giunti all’ospedale di Lui (Western Equatoria) assistiti dagli operatori di Medici con l’Africa Cuamm (vedi Agenzia Fides 8/1/2014). Secondo quanto riferito al Cuamm dal chirurgo presente a Lui, “è successo quanto speravamo non sarebbe mai accaduto. Nei giorni scorsi, dopo incontri ripetuti, ci siamo attrezzati stilando un protocollo per mass casualty, che abbiamo presentato e discusso con l’Health Management Team dell’ospedale in seduta plenaria. Dapprima ho ricoverato un soldato del contingente di Lui accoltellato al torace. Nello stesso momento un contingente dell’SPLA (Sudan People's Liberation Army), in marcia da Nzara a Juba, a 20 km da qui, e stava dormendo. E’ stato attaccato da sconosciuti con AK 47.” “Più tardi, - prosegue il dott. Setti Carraro - una colonna militare dell’SPLA ha scaricato in ospedale 17 feriti da arma da fuoco, uno era già morto, uno poc o dopo il ricovero, uno infine è morto di shock emorragico due ore dopo una urgente amputazione di gamba. Gli altri sono stati operati e solo tre sono immediatamente dimissibili, ma preferiscono rimanere in ospedale. Altri ancora ne avranno per giorni o settimane.” “La maternità è per fortuna tranquilla, - aggiunge il dott. Setti Carraro - ma due madri si sono autodimesse in giornata, benché i loro bambini avessero avuto entrambi febbre e convulsioni. La gente, almeno una parte, ha paura”. In parallelo all’ospedale di Yirol, al confine con la provincia di Bor, teatro degli scontri più violenti delle ultime settimane, il lavoro del Cuamm continua nel fronteggiare l’emergenza degli sfollati che hanno raggiunto Minkamen. Sono circa 20 mila e hanno bisogno di zanzariere, cibo, farmaci e strumenti per igienizzare l’acqua. Gli operatori hanno garantito un primo sostegno con la fornitura di trattamenti antimalarici, amoxicillina, metronidazolo, sali di reidratazione, e paracetamolo . “Garantire il funzionamento dell’ospedale di Yirol e di Lui è per noi centrale e crediamo anche per tutto il sistema sanitario locale” - dichiara don Dante Carraro direttore di Medici con l’Africa Cuamm - i bisogni dell’ospedale non si fermano e alcuni servizi, come gli ambulatori e le visite prenatali, riaprono”. (AP) (9/1/2014 Agenzia Fides)