sabato 27 ottobre 2012

A Udine festa per la Cresima in carcere   versione testuale
Domenica 21 ottobre, nella casa circondariale di via Spalato
un giovane rumeno ha ricevuto il sacramento

UDINE (26 ottobre, ore 13.45) - Poteva sembrare una domenica come tutte le altre, di quelle che scivola via veloce sulla città, senza nulla da raccontare. E invece, la scorsa domenica ordinaria non lo è stata affatto perché nel cuore di Udine nella Casa circondariale, germogliava – ad insaputa dei più – una piccola, ma tenace speranza.

La storia è quella di Emil (il nome è di fantasia) un giovane ragazzo rumeno, detenuto in via Spalato, che domenica, in carcere, ha ricevuto la Cresima. «Un’esperienza grande» così la descrive don Roberto Gabassi, delegato dall’Arcivescovo ad amministrare il sacramento, e che, con voce piena di emozione, racconta: «Ritrovarsi a vivere un momento di questo tipo dentro a un carcere prende emotivamente perché ci si sorprende a vedere tanta positività in un ambiente dove, a priori, si direbbe che le positività siano rimaste fuori. Una maturazione dentro un carcere, come quella che si è vista in questo ragazzo, potrebbe sembrare qualcosa di miracoloso – spiega don Gabassi –. È lui stesso a riconoscere che proprio qui ha cominciato a capire qualcosa della vita. Non so se per merito del carcere o perché lui è entrato in un percorso di ricerca di senso della propria esistenza. Questi sono segni grandiosi».
 
E non c’è solo Emil. «Mi ha colpito molto – continua il sacerdote – la partecipazione degli altri. Una cinquantina di detenuti che ha vissuto e condiviso questa Cresima in una maniera che non si può descrivere a parole. C’è stata poi una partecipazione all’Eucarestia che, sinceramente, non sempre riesco a vedere nelle nostre comunità parrocchiali». E proprio quella del legame e del rapporto tra il carcere e le parrocchie è una questione aperta. «In questi ultimi anni, anche grazie all’amicizia con don Dario che collabora con le nostre parrocchie, c’è una condivisione di quello che si vive. Entrando nelle nostre comunità ci aiuta a capire la prospettiva del suo impegno dentro al carcere, sottolineando che chi ci vive, ma anche chi ci lavora, ha bisogno di non sentirsi abbandonato. Sarebbe ad esempio importante che le parrocchie fossero in qualche modo attente alla situazione delle famiglie dei detenuti. È difficile trovare risposte immediate però sicuramente non possiamo dire "non possiamo fare niente"».

Sono innumerevoli le volte in cui don Gabassi nei suoi colloqui con i questi ragazzi si è sentito dire: «Quando esco ci vediamo, ci sentiamo». Alcuni, spiega, «fanno delle proposte per quel che riguarda un loro reinserimento nella società e chiedono quindi un accompagnamento». Questa vicinanza – rappresentata con forza anche dalla visita pastorale dell’Arcivescovo di Udine, mons. Andrea Bruno Mazzocato, lo scorso 10 ottobre –, riesce a creare «un clima di speranza proprio tra i detenuti perché si rendono conto di non essere semplicemente marchiati». Il messaggio che arriva «è che siamo fratelli e sorelle in cammino. Certo c’è qualcuno che paga, qualcuno di più di quello che dovrebbe, ma camminiamo insieme, così chi vive una situazione di fragilità non si sente abbandonato». «Aldilà della situazione in cui ognuno si trova – conclude don Gabassi –, la relazione è sempre capace di speranza. Si tratta di un rapporto reciproco, per aiutarci l’un l’altro nelle nostre miserie, nei nostri fallimenti. Anche perché ci sono i fallimenti di chi è dentro, ma anche di chi è fuori. E nella mia esperienza posso dire che spesso ho l’impressione che siano i detenuti a caricarmi di determinate speranze».