Partigiano,
sfuggì per caso alla strage di Porzûs e fu tra i protagonisti del
processo di pacificazione tra le diverse anime della Resistenza in
Friuli
UDINE (12
febbraio, ore 9.45) - È morto ieri sera, presso la Fraternità
sacerdotale, mons. Redento Bello, 99 anni (era il prete più anziano
della diocesi), una delle figure di spicco del clero friulano.
Protagonista
e testimone diretto della storia dei nostri giorni, mons. Redento Bello
è nato a Silvella, in comune di Fagagna, il 14 giugno 1913. Ordinato
sacerdote nel 1937, si è subito trovato in mezzo ad una guerra assurda e
terribile, una guerra che ha coinvolto tutti, soldati e civili, uomini e
donne, giovani e vecchi, una guerra che ha distrutto il tessuto stesso
della società umana, che ha bruciato testimonianze di civiltà secolari.
Dopo
essere stato cappellano militare in un piccolo ospedale da campo a
Caporetto, nell'ottobre 1940 fu assegnato al 31º Reggimento di fanteria e
spedito sul fronte albanese; da lì passò in Grecia e poi nell'isola di
Creta, dove visse la tragedia di quella terra con la profonda
sensibilità di chi si sente fratello di tutti. L'annuncio della firma
dell'armistizio fu appreso da don Bello a Silvella di Fagagna, dove era
ritornato da poco in licenza premio. Alcuni giorni dopo l'8 settembre
incontrò ad Udine don Aldo Moretti, un sacerdote che nella Resistenza
friulana ha svolto un ruolo di primissimo piano. Fu proprio don Moretti
che lo invitò ad unirsi ai giovani che già erano saliti in montagna, che
vivevano nei boschi tra Cividale e Gemona, preparandosi a combattere
per un mondo più umano, più giusto, più libero. Don Redento si trasferì,
così, a Flaipano, sopra Tarcento, dove ebbe come base per i suoi
spostamenti la canonica del paese. Qui cominciò ad incontrare i ragazzi
che vivevano in clandestinità nelle case sperdute lungo i crinali dei
monti ed a prendere contatto con i gruppetti che preferivano rimanere
nascosti nel folto dei boschi.
Continuò ad operare
in quella zona fino alla fine di novembre, poi ritornò in pianura dove,
con l'aiuto di un ufficiale degli alpini che si era dato alla macchia,
cominciò ad organizzare le prime formazioni partigiane nel territorio di
Fagagna. In seguito, diventato ufficialmente "cappellano" di Carlino,
anche se in realtà non aveva ricevuto dall'Arcivescovo mons. Nogara
nessun decreto per quell'incarico e l'attività che doveva svolgere era
di ben altra natura, don Bello cominciò a girare in lungo e in largo nei
centri della Bassa chiedendo ai parroci nomi di uomini su cui poter
fare affidamento. In breve tempo riuscì a costituire un gruppo di circa
300 persone, la maggior parte delle quali non era legata ad alcun
partito, voleva, però, riscattare la nostra dignità di popolo, rendere
concreto un sogno chiamato "libertà".
In ogni paese
c'erano squadre di tre, quattro uomini, che non conoscevano gli altri,
pur sapendo della loro esistenza: ci pensava don Bello a tenere le fila e
a coordinare le operazioni: sabotaggi, prelevamenti di armi, di viveri,
di denaro, raccolta di informazioni, segnalazioni di movimenti di
truppe o di persone sospette erano all'ordine del giorno. Punto di
riferimento a Udine era sempre don Moretti! L'organizzazione
clandestina, che ancora non si era data una struttura organica precisa,
alla fine del 1943 poteva disporre di oltre un migliaio di uomini.
Raggiunta l'unità dei vari reparti, la nuova formazione fu chiamata
"Osoppo", in ricordo del paese dove nel 1848 gli italiani avevano
resistito strenuamente all'assedio austriaco, il cappello d'alpino ed il
fazzoletto verde al collo diventarono la divisa del gruppo.
Intanto,
sempre più numerosi erano i giovani che andavano ad ingrossare le file
partigiane, soprattutto sui monti della Slavia friulana. A rendere nella
nostra regione più doloroso che altrove il dramma della Resistenza,
aveva concorso, oltre all'occupazione tedesca, il concreto pericolo
delle rivendicazioni territoriali avanzate dalle forze partigiane slave.
Verso il mese di luglio del 1944 anche don Bello, o meglio don
"Candido" come era chiamato in clandestinità, raggiunse le malghe sopra
Porzus, dove si trovava il Comando della 1ª brigata "Osoppo".
Due
piccoli edifici con i muri di pietra tirati su quasi a secco, il
soffitto bassissimo, un tavolo di sasso all'aperto, il selciato intorno.
All'interno c'era la piccola cucina con il "fogolâr", in uno sgabuzzino
l'altare su cui don "Candido" celebrava la Messa ogni mattina. Lassù
egli era il cappellano militare, ma anche l'addetto alla compilazione
del diario, nelle sue mani passavano tutte le relazioni del Gruppo
Brigate dell'Est, era perciò addentro a tutto ciò che riguardava la
formazione "Osoppo". Davanti a quelle malghe, imbiancate di neve fresca,
il 7 febbraio 1945, il presidio osovano venne annientato, "soffocato
nel sangue da fraterna mano assassina", come si legge sulla lapide posta
a ricordo. Don "Candido" quel giorno non era lassù, da tempo era sceso
in pianura per ricollegare gruppi di sbandati, non ha, però, mai
dimenticato quei ragazzi sacrificati sull'altare dell'ideologia, pedine
di un gioco terribile in una partita di politica internazionale.
Ha
sempre difeso la loro memoria contro i dubbi, le speculazioni imbastite
intorno a questa pagina tragica della nostra Storia, si è battuto per
ottenere giustizia per le vittime, per fare chiarezza su uno degli
episodi più oscuri della Resistenza friulana. Anche se il tempo scolora i
ricordi della guerra, mons. Bello ha commemorato ogni anno il
sacrificio di quelle giovani vite. Dopo aver vissuto in prima linea una
guerra che ha portato solo morte e sangue, don Bello ha saputo
riprendersi e ricominciare, scegliendo la via dell'amore e della
tolleranza.
Diventato direttore delle Arti Grafiche Friulane, ha
sviluppato l'editoria con particolare attenzione alle pubblicazioni di
cultura e di storia friulana. Attualmente era canonico del Capitolo
della Cattedrale. Storico fu, nel 2001, il suo bacio con Vanni Padoan,
commissario politico della divisione Garibaldi-Natisone.