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sabato 17 maggio 2014
La gran parte di loro teme il rimpatrio forzato in Eritrea o Sudan, che porrebbe a rischio la vita di molti.
ASIA/ISRAELE - Un campo di detenzione nel deserto del Negev. Pieno di cristiani
Holot (Agenzia Fides) Nel deserto del Negev c'è un centro di detenzione con più di duemila detenuti, in gran parte di fede cristiana. E' il centro di Holot, dove vengono rinchiusi gli eritrei e i sudanesi che giungono in Israele dopo esser fuggiti dai rispettivi Paesi d'origine. Lo scorso 15 maggio una delegazione di 13 componenti della Pastorale per i Migranti del Patriarcato latino di Gerusalemme, guidata dal Vicario patriarcale p.David Neuhaus, si è recata in visita al centro per raccogliere testimonianze e informazioni sulle condizioni di vita dei detenuti. Solo a due membri della delegazione è stato consentito di accedere alle strutture di detenzione. Ma il resoconto della visita, riportato dai media ufficiali del Patriarcato latino e pervenuto all'Agenzia Fides, riesce comunque a trasmettere un'immagine eloquente delle giornate vissute nel campo dai detenuti.
Al momento, la struttura ospita 2300 uomini. Ma sono in corso lavori per aumentare la ricettività del centro. I detenuti vengono contati 3 volte al giorno e la libertà di movimento concessa loro durante il giorno rimane del tutto teorica, visto che il centro si trova nel deserto, lontano da centri abitati, e i detenuti non possono usare mezzi di trasporto per muoversi. I reclusi dormono in stanze con dieci posti letto. La stragrande maggioranza di loro appartiene alla Chiesa copta ortodossa eritrea, e tra loro operano tre sacerdoti. Il caldo soffocante, il vuoto delle giornate, le carenze dal punto di vista alimentare e sanitario confermano l'impressione di trovarsi in un campo di prigionia. “Perché siamo qui? Quale crimine abbiamo commesso? Quando ci rilasceranno?” sono le domande più frequenti raccolte tra i detenuti dalla delegazione del Patriarcato latino. La gran parte di loro teme il rimpatrio forzato in Eritrea o Sudan, che porrebbe a rischio la vita di molti. Per re ndere meno penosa la vita nel campo, chiedono un miglioramento dell'assistenza sanitaria e l'invio di libri e insegnanti per riempire le giornate vuote.
Attualmente i richiedenti asilo in Israele sono 50mila. Ma le richieste di asilo presentate nel 2013 sono soltanto 43. (GV) (Agenzia Fides 17/5/2014).
Al momento, la struttura ospita 2300 uomini. Ma sono in corso lavori per aumentare la ricettività del centro. I detenuti vengono contati 3 volte al giorno e la libertà di movimento concessa loro durante il giorno rimane del tutto teorica, visto che il centro si trova nel deserto, lontano da centri abitati, e i detenuti non possono usare mezzi di trasporto per muoversi. I reclusi dormono in stanze con dieci posti letto. La stragrande maggioranza di loro appartiene alla Chiesa copta ortodossa eritrea, e tra loro operano tre sacerdoti. Il caldo soffocante, il vuoto delle giornate, le carenze dal punto di vista alimentare e sanitario confermano l'impressione di trovarsi in un campo di prigionia. “Perché siamo qui? Quale crimine abbiamo commesso? Quando ci rilasceranno?” sono le domande più frequenti raccolte tra i detenuti dalla delegazione del Patriarcato latino. La gran parte di loro teme il rimpatrio forzato in Eritrea o Sudan, che porrebbe a rischio la vita di molti. Per re ndere meno penosa la vita nel campo, chiedono un miglioramento dell'assistenza sanitaria e l'invio di libri e insegnanti per riempire le giornate vuote.
Attualmente i richiedenti asilo in Israele sono 50mila. Ma le richieste di asilo presentate nel 2013 sono soltanto 43. (GV) (Agenzia Fides 17/5/2014).
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