pubblicata da Sete di Parola il giorno mercoledì 23 marzo 2011 alle ore 19.03
Dal Vangelo secondo Luca 16,19-31
Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
SPUNTI DI RIFLESSIONE (padre Gian Franco Scarpitta)
Ancora un'altra invettiva contro la cattiveria e la falsa ricchezza. La liturgia di oggi condanna questa volta non solamente l'uso improprio dei beni materiali considerati come fini a se stessi e come oggetto di lussuria e di piacere sfrenato e inconsulto, ma anche le conseguenze nefaste che la bramosia di possesso può arrecare agli altri e in fin dei conti anche a se stessi. Mi permetto di parafrasare una celebre affermazione di San Francesco di Paola ("Il troppo parlare non è mai esente da colpa"), considerando che probabilmente egli stesso sarebbe concorde nel ribadirla: "il troppo possedere non è mai esente da colpa". E in effetti la ricchezza smodata e sproporzionata, il guadagno sicuro ottenuto con troppa garanzia e facilità, la sicumera che procura il benessere materiale e il senso di indifferenza e di apatia che ne conseguono, possono sempre trasformarsi in occasioni di colpa e di demerito poiché proprio queste condizioni procurano ostentazione di falso orgoglio, egoismo, irrequietezza interiore e chiusura nei confronti degli altri. Eccettuando tanti casi di coerenza e di bontà che pure sussistono, molte volte infatti avviene che nella misura in cui si possiede ci si preclude ai valori e ai sentimenti, ci si inorgoglisce forti di una falsa presunzione, mentre gli altri diventano anche un ostacolo o un motivo di diffidenza. Anche se non si può fare di tutta l'erba un fascio, nel corso delle mie attività pastorali, visitando le famiglie e varie situazioni di lavoro, mi è capitato non di rado di riscontrare che indifferenza e apatia religiosa sono caratteristiche per lo più dei benestanti e dei possidenti, che forti di una sicurezza materiale garantita e acquisita sembrano non mostrare alcuna necessità o attrattiva verso la religione. Nella nostra società determinate azioni commerciali e non pochi affari garantiscono il successo di pochi a spese della massa e non di rado il rimedio alle ingiustizie di alcuni lo si trova nel poderoso sacrificio economico di gente semplice e povera: anche in tempi recentissimi si potrebbero fare numerosi esempi su come a pagare le ingiustizie di pochi debbano essere i sacrifici esorbitanti di molti! La ricchezza sfrenata è lesiva anche della dignità stessa di chi la esercita e in effetti quale sicurezza economica non rileva alla fine la sua inefficacia e la sua perniciosità? Quale ricchezza ammassata ingiustamente e illecitamente permetterà mai di dormire sonni tranquilli? Chi è ricco resta schiavo del suo stesso possesso e della bramosia dell'accumulo che intanto toglie serenità e rovina l'esistenza, perché il capitale accumulato va accresciuto costantemente, protetto e difeso da ladri e malintenzionati e qualsiasi misura precauzionale sarà sempre considerata insufficiente. Consideriamo poi le parole di Paolo: "Che cosa possiedi tu che non abbia ricevuto? E se lo hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto?" parole che attestano che tutto quello che possediamo ci è dato in dotazione e potrebbe esserci improvvisamente tolto e allora rimpiangeremmo conseguenze disastrose, quelle in cui si trova chi è abituato alla garanzia del possesso e agli agi del denaro, ma si trova sperduto e disorientato quando la sua casa e i suoi beni vengono devastati dall'alluvione e dal terremoto. In questi casi non si recupera più nulla e quello che conta è la propria abilità e l'appoggio degli altri. A questo punto, in fatto di ricchezza egoistica, smodata e irriverente, può intervenire la parabola di Gesù, denominata "del ricco epulone", ma che si potrebbe anche definire "del ribaltamento della situazione" o "del ripristino di ogni giustizia ed equità". La parabola infatti presenta la vittoria finale di Dio sulle cattiverie e le perversità di chi si è sempre vantato delle proprie ricchezza, la dimensione del giusto equilibrio recuperato nel quale chi davvero merita viene finalmente ricompensato mentre cade nella condanna irreversibile chi si è auto lesionato con le proprie false certezze: la logica di Dio è davvero distante da quella dell'uomo, perché si mostra a vantaggio dei poveri e dei sofferenti e assume connotati di condanna verso quanti illudono se stessi con grandiosi trionfi economici che aprono alla lussuria. Sia in questa vita e soprattutto al momento del
giudizio, Dio attribuirà a ciascuno secondo i suoi meriti favorendo chi è sempre stato destinato a soffrire e a soccombere. Più in generale, la ricchezza materiale considerata in se stessa non per forza è sinonimo di cattiveria e di lussuria ma può diventare occasione di esercizio di virtù evangeliche e di disinteressato amore verso il prossimo. Ma quando il potere e il successo di opulenza diventano occasione di prevaricazione sugli altri essendo anche deleteri per noi stessi, ebbene in questi casi qualsiasi possedimento rivela la propria ruggine corrosiva.
PER LA PREGHIERA (Mons. Oscar Romero)
Spesso hanno minacciato di uccidermi.
Come cristiano devo dire che non credo nella morte senza resurrezione: se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno. Lo dico senza superbia, con la più grande umiltà. In quanto pastore ho l'obbligo, per divina disposizione, di dare la mia vita per coloro che amo ossia per tutti i salvadoregni, anche per coloro che potrebbero assassinarmi. Se le minacce giungessero a compimento, fin d'ora offro a Dio il mio sangue per la redenzione del Salvador.
Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare. Ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, il mio sangue sia seme di libertà e segno che la speranza sarà presto realtà. La mia morte, se Dio l'accetta, sia per la libertà del mio popolo e sia una testimonianza di speranza per il futuro.
Può dire anche, se mi uccideranno che perdono e benedico quelli che lo faranno. Dio voglia che si convincano di perdere il loro tempo. Morirà un vescovo, ma la Chiesa di Dio, ossia il popolo, non perirà mai.
Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
SPUNTI DI RIFLESSIONE (padre Gian Franco Scarpitta)
Ancora un'altra invettiva contro la cattiveria e la falsa ricchezza. La liturgia di oggi condanna questa volta non solamente l'uso improprio dei beni materiali considerati come fini a se stessi e come oggetto di lussuria e di piacere sfrenato e inconsulto, ma anche le conseguenze nefaste che la bramosia di possesso può arrecare agli altri e in fin dei conti anche a se stessi. Mi permetto di parafrasare una celebre affermazione di San Francesco di Paola ("Il troppo parlare non è mai esente da colpa"), considerando che probabilmente egli stesso sarebbe concorde nel ribadirla: "il troppo possedere non è mai esente da colpa". E in effetti la ricchezza smodata e sproporzionata, il guadagno sicuro ottenuto con troppa garanzia e facilità, la sicumera che procura il benessere materiale e il senso di indifferenza e di apatia che ne conseguono, possono sempre trasformarsi in occasioni di colpa e di demerito poiché proprio queste condizioni procurano ostentazione di falso orgoglio, egoismo, irrequietezza interiore e chiusura nei confronti degli altri. Eccettuando tanti casi di coerenza e di bontà che pure sussistono, molte volte infatti avviene che nella misura in cui si possiede ci si preclude ai valori e ai sentimenti, ci si inorgoglisce forti di una falsa presunzione, mentre gli altri diventano anche un ostacolo o un motivo di diffidenza. Anche se non si può fare di tutta l'erba un fascio, nel corso delle mie attività pastorali, visitando le famiglie e varie situazioni di lavoro, mi è capitato non di rado di riscontrare che indifferenza e apatia religiosa sono caratteristiche per lo più dei benestanti e dei possidenti, che forti di una sicurezza materiale garantita e acquisita sembrano non mostrare alcuna necessità o attrattiva verso la religione. Nella nostra società determinate azioni commerciali e non pochi affari garantiscono il successo di pochi a spese della massa e non di rado il rimedio alle ingiustizie di alcuni lo si trova nel poderoso sacrificio economico di gente semplice e povera: anche in tempi recentissimi si potrebbero fare numerosi esempi su come a pagare le ingiustizie di pochi debbano essere i sacrifici esorbitanti di molti! La ricchezza sfrenata è lesiva anche della dignità stessa di chi la esercita e in effetti quale sicurezza economica non rileva alla fine la sua inefficacia e la sua perniciosità? Quale ricchezza ammassata ingiustamente e illecitamente permetterà mai di dormire sonni tranquilli? Chi è ricco resta schiavo del suo stesso possesso e della bramosia dell'accumulo che intanto toglie serenità e rovina l'esistenza, perché il capitale accumulato va accresciuto costantemente, protetto e difeso da ladri e malintenzionati e qualsiasi misura precauzionale sarà sempre considerata insufficiente. Consideriamo poi le parole di Paolo: "Che cosa possiedi tu che non abbia ricevuto? E se lo hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto?" parole che attestano che tutto quello che possediamo ci è dato in dotazione e potrebbe esserci improvvisamente tolto e allora rimpiangeremmo conseguenze disastrose, quelle in cui si trova chi è abituato alla garanzia del possesso e agli agi del denaro, ma si trova sperduto e disorientato quando la sua casa e i suoi beni vengono devastati dall'alluvione e dal terremoto. In questi casi non si recupera più nulla e quello che conta è la propria abilità e l'appoggio degli altri. A questo punto, in fatto di ricchezza egoistica, smodata e irriverente, può intervenire la parabola di Gesù, denominata "del ricco epulone", ma che si potrebbe anche definire "del ribaltamento della situazione" o "del ripristino di ogni giustizia ed equità". La parabola infatti presenta la vittoria finale di Dio sulle cattiverie e le perversità di chi si è sempre vantato delle proprie ricchezza, la dimensione del giusto equilibrio recuperato nel quale chi davvero merita viene finalmente ricompensato mentre cade nella condanna irreversibile chi si è auto lesionato con le proprie false certezze: la logica di Dio è davvero distante da quella dell'uomo, perché si mostra a vantaggio dei poveri e dei sofferenti e assume connotati di condanna verso quanti illudono se stessi con grandiosi trionfi economici che aprono alla lussuria. Sia in questa vita e soprattutto al momento del
giudizio, Dio attribuirà a ciascuno secondo i suoi meriti favorendo chi è sempre stato destinato a soffrire e a soccombere. Più in generale, la ricchezza materiale considerata in se stessa non per forza è sinonimo di cattiveria e di lussuria ma può diventare occasione di esercizio di virtù evangeliche e di disinteressato amore verso il prossimo. Ma quando il potere e il successo di opulenza diventano occasione di prevaricazione sugli altri essendo anche deleteri per noi stessi, ebbene in questi casi qualsiasi possedimento rivela la propria ruggine corrosiva.
PER LA PREGHIERA (Mons. Oscar Romero)
Spesso hanno minacciato di uccidermi.
Come cristiano devo dire che non credo nella morte senza resurrezione: se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno. Lo dico senza superbia, con la più grande umiltà. In quanto pastore ho l'obbligo, per divina disposizione, di dare la mia vita per coloro che amo ossia per tutti i salvadoregni, anche per coloro che potrebbero assassinarmi. Se le minacce giungessero a compimento, fin d'ora offro a Dio il mio sangue per la redenzione del Salvador.
Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare. Ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita, il mio sangue sia seme di libertà e segno che la speranza sarà presto realtà. La mia morte, se Dio l'accetta, sia per la libertà del mio popolo e sia una testimonianza di speranza per il futuro.
Può dire anche, se mi uccideranno che perdono e benedico quelli che lo faranno. Dio voglia che si convincano di perdere il loro tempo. Morirà un vescovo, ma la Chiesa di Dio, ossia il popolo, non perirà mai.
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