◊ È un trend drammaticamente in crescita, quello della violenza contro i sacerdoti in Messico, Paese in cui l’instabilità democratica e il parziale collasso delle forze dell’ordine stanno causando gravi problemi, tra cui quello dell’immigrazione verso gli Stati Uniti, con un conseguente innalzamento della barriera di confine tra i due Stati. I dati citati dall’Osservatore Romano provengono dal Centro católico multimedial (Ccm): dal 1993 a oggi sono circa una ventina i religiosi uccisi e nell’ultimo periodo, dal 2006 a oggi, il numero è triplicato, passando da quattro a 12. Questo fa del Messico il Paese più pericoloso del Sudamerica dopo la Colombia e i sacerdoti, in particolare, risultano essere nel mirino della malavita organizzata a causa della loro presenza capillare sul territorio e del rapporto che riescono a instaurare all’interno della comunità. L’area più pericolosa è il Distretto Federale, dove è avvenuto un quinto degli omicidi, seguito dallo Stato di Chihuahua e dal territorio del Guerrero, dove c’è molta povertà e l’attività dei narcotrafficanti attecchisce meglio. La Chiesa cattolica in Messico ha sempre fatto molto contro i trafficanti di droga, che recentemente ha minacciato di scomunicare: il nunzio apostolico mons. Christophe Pierre ha lanciato un appello ai fedeli affinché non si pieghino a questo fenomeno, mentre il vescovo di Campeche, mons. Ramón Castro, in occasione dell’inizio del periodo di conversione della Quaresima, si è rivolto direttamente ai narcotrafficanti, ricordando loro che “il denaro facile offre una vita comoda ma lontana da Dio”. (R.B.)
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