ASIA/MALAYSIA - Questione “Allah”: oltre 100 denunce al Direttore del settimanale cattolico Herald
Kuala Lumpur (Agenzia Fides) – P. Lawrence Andrew, sacerdote malaysiano e Direttore del giornale cattolico “Herald”, settimanale diocesano di Kuala Lumpur, è indagato dalla giustizia malaysiana e rischia di essere incriminato e processato per “sedizione”. Come riferito a Fides dalla Chiesa locale, 109 denunce sono state depositate contro di lui, per aver affermato in un articolo sul numero di “Herald” del 27 dicembre che i fedeli cattolici hanno il diritto di continuare a utilizzare la parola “Allah” per riferirsi a Dio. Nell’articolo, visionato da Fides, p. Andrew citava, come prova evidente, una preghiera cristiana di oltre cent’anni fa, in lingua malese, in cui si usava il nome “Allah”.
“La situazione è piuttosto grave. C’è grande preoccupazione nella Chiesa cattolica, perchè la vicenda ha preso una brutta piega”, spiega all’Agenzia Fides fra Augustine Julian, missionario dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Kuala Lumpur, ex segretario della Conferenza Episcopale della Malaysia. “L’indagine della magistratura in corso è una sottile forma di pressione verso tutti i cristiani. C’è forte preoccupazione nella comunità e tensione con gruppi islamici radicali”, aggiunge Julian. Anche i Vescovi della Malaysia, che in questi giorni sono riuniti a Johor, per una riunione della Conferenza episcopale, “esamineranno certo la delicata questione”, nota Julian, anche se è probabile che non vi sarà un intervento ufficiale. Quello che si teme è una escalation che potrebbe sfociare in violenza.
L’apertura di una indagine su p. Andrew giunge dopo un altro episodio critico: il recente sequestro di oltre 300 bibbie da parte della polizia nello stato di Selangor (vedi Fides 3/1/2014). Il Dipartimento per gli affari religiosi nello stato ha giustificato l’atto – che ha suscitato forti polemiche – perchè le bibbie, scritte nella lingua locale “Bahasa”, usano la parola “Allah”. Sul caso, la “Bible Society of Malaysia (BSM), proprietaria delle bibbie sequestrate, ha chiesto al governo di Selangor di approvare formalmente la “Dichiarazione 10 punti”, emessa dal governo federale della Malaysia nel 2011. La Dichiarazione consente alla comunità cristiana di “stampare, importare e distribuire la Bibbia nelle lingue indigene malesi all'interno del paese”, ponendo determinate condizioni sulla distribuzione nella Malaysia peninsulare. La BSM afferma di aver rispettato tali condizioni e che le bibbie erano riservate alle chiese di Sabah e Sarawak (nel Borneo malaysiano) e ad alcuni indigeni cristiani di lingua malay residenti nella penisola. Il primo ministro dello stato di Selangor, Abdul Khalid Ibrahim, ha ordinato ieri alla polizia di restituire le Bibbie, in ossequio alla Dichiarazione.
La disputa sull'uso del termine “Allah” da parte dei non-musulmani è scoppiata all'inizio del 2009, quando il Ministero degli interni ha revocato il permesso di pubblicazione del giornale cattolico “Herald”, perché lo utilizzava. La Chiesa cattolica ha avviato un ricorso legale, sostenendo la violazione dei suoi diritti costituzionali. Nello stesso anno un tribunale ha accolto la tesi della Chiesa. La successiva sentenza della Corte di appello, a ottobre 2013, ha ripristinato il divieto. I musulmani costituiscono oltre il 60% per cento dei 28 milioni di malaysiani, mentre i cristiani rappresentano circa il 9%. (PA) (Agenzia Fides 9/1/2014)
“La situazione è piuttosto grave. C’è grande preoccupazione nella Chiesa cattolica, perchè la vicenda ha preso una brutta piega”, spiega all’Agenzia Fides fra Augustine Julian, missionario dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Kuala Lumpur, ex segretario della Conferenza Episcopale della Malaysia. “L’indagine della magistratura in corso è una sottile forma di pressione verso tutti i cristiani. C’è forte preoccupazione nella comunità e tensione con gruppi islamici radicali”, aggiunge Julian. Anche i Vescovi della Malaysia, che in questi giorni sono riuniti a Johor, per una riunione della Conferenza episcopale, “esamineranno certo la delicata questione”, nota Julian, anche se è probabile che non vi sarà un intervento ufficiale. Quello che si teme è una escalation che potrebbe sfociare in violenza.
L’apertura di una indagine su p. Andrew giunge dopo un altro episodio critico: il recente sequestro di oltre 300 bibbie da parte della polizia nello stato di Selangor (vedi Fides 3/1/2014). Il Dipartimento per gli affari religiosi nello stato ha giustificato l’atto – che ha suscitato forti polemiche – perchè le bibbie, scritte nella lingua locale “Bahasa”, usano la parola “Allah”. Sul caso, la “Bible Society of Malaysia (BSM), proprietaria delle bibbie sequestrate, ha chiesto al governo di Selangor di approvare formalmente la “Dichiarazione 10 punti”, emessa dal governo federale della Malaysia nel 2011. La Dichiarazione consente alla comunità cristiana di “stampare, importare e distribuire la Bibbia nelle lingue indigene malesi all'interno del paese”, ponendo determinate condizioni sulla distribuzione nella Malaysia peninsulare. La BSM afferma di aver rispettato tali condizioni e che le bibbie erano riservate alle chiese di Sabah e Sarawak (nel Borneo malaysiano) e ad alcuni indigeni cristiani di lingua malay residenti nella penisola. Il primo ministro dello stato di Selangor, Abdul Khalid Ibrahim, ha ordinato ieri alla polizia di restituire le Bibbie, in ossequio alla Dichiarazione.
La disputa sull'uso del termine “Allah” da parte dei non-musulmani è scoppiata all'inizio del 2009, quando il Ministero degli interni ha revocato il permesso di pubblicazione del giornale cattolico “Herald”, perché lo utilizzava. La Chiesa cattolica ha avviato un ricorso legale, sostenendo la violazione dei suoi diritti costituzionali. Nello stesso anno un tribunale ha accolto la tesi della Chiesa. La successiva sentenza della Corte di appello, a ottobre 2013, ha ripristinato il divieto. I musulmani costituiscono oltre il 60% per cento dei 28 milioni di malaysiani, mentre i cristiani rappresentano circa il 9%. (PA) (Agenzia Fides 9/1/2014)
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