Fatti, scritti, immagini, video riguardanti i paesi della Bassa vicini a San Giorgio di Nogaro
sabato 31 maggio 2014
martedì 27 maggio 2014
Memoriale dello Yad Vashem: anche il Papa lo ha visitato
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lunedì 26 maggio 2014
Programma di Villa Dora per Itinerannia
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domenica 25 maggio 2014
È il primo messaggio del Papa, ad Amman
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sabato 24 maggio 2014
Messaggero Veneto: Itinerannia 2014
ItinerAnnia 2014 punta a 40 mila presenze
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martedì 20 maggio 2014
Sono stupito di come la popolazione sia capace di passare rapidamente da una situazione di guerra ad una di pace.
AFRICA/LIBIA - “Ci sono le premesse per la guerra civile, ma la gente vuole la pace” dice Mons. Martinelli
Tripoli (Agenzia Fides) - “Non si spara, ma la situazione rimane tesa, anche perché non si capisce bene cosa vi sia sotto e cosa i vari miliziani vogliano fare” dice all’Agenzia Fides Sua Ecc. Mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, Vicario Apostolico di Tripoli, dopo i violenti combattimenti di domenica 18 maggio per il controllo del Parlamento libico, preceduti da pesanti scontri nell’est del Paese.
“Mi auguro che non ci sia una guerra civile, ma ci sono tutte le premesse perché possa scoppiare. La Libia sta vivendo un momento particolare. Non mi sono mai trovato in una situazione così critica. Speriamo che il buon senso prevalga. La mia speranza deriva dalla preghiera e dal fatto che la gente vuole la pace” evidenzia Mons. Martinelli.
“Dopo i pesanti combattimenti di domenica scorsa - spiega il Vicario Apostolico - il giorno successivo sembrava che non fosse successo niente: i tripolini erano scesi nei bar come se nulla fosse. Sono stupito di come la popolazione sia capace di passare rapidamente da una situazione di guerra ad una di pace. Secondo me è perché la gente anela alla pace, ne ha bisogno dopo questi anni di incertezza”. “Per questo dico: pregate per noi, perché l’unica forza è quella della preghiera che smuove i cuori delle persone” conclude Mons. Martinelli. (L.M.) (Agenzia Fides 20/5/2014)
“Mi auguro che non ci sia una guerra civile, ma ci sono tutte le premesse perché possa scoppiare. La Libia sta vivendo un momento particolare. Non mi sono mai trovato in una situazione così critica. Speriamo che il buon senso prevalga. La mia speranza deriva dalla preghiera e dal fatto che la gente vuole la pace” evidenzia Mons. Martinelli.
“Dopo i pesanti combattimenti di domenica scorsa - spiega il Vicario Apostolico - il giorno successivo sembrava che non fosse successo niente: i tripolini erano scesi nei bar come se nulla fosse. Sono stupito di come la popolazione sia capace di passare rapidamente da una situazione di guerra ad una di pace. Secondo me è perché la gente anela alla pace, ne ha bisogno dopo questi anni di incertezza”. “Per questo dico: pregate per noi, perché l’unica forza è quella della preghiera che smuove i cuori delle persone” conclude Mons. Martinelli. (L.M.) (Agenzia Fides 20/5/2014)
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sabato 17 maggio 2014
Crisi Billa
La gran parte di loro teme il rimpatrio forzato in Eritrea o Sudan, che porrebbe a rischio la vita di molti.
ASIA/ISRAELE - Un campo di detenzione nel deserto del Negev. Pieno di cristiani
Holot (Agenzia Fides) Nel deserto del Negev c'è un centro di detenzione con più di duemila detenuti, in gran parte di fede cristiana. E' il centro di Holot, dove vengono rinchiusi gli eritrei e i sudanesi che giungono in Israele dopo esser fuggiti dai rispettivi Paesi d'origine. Lo scorso 15 maggio una delegazione di 13 componenti della Pastorale per i Migranti del Patriarcato latino di Gerusalemme, guidata dal Vicario patriarcale p.David Neuhaus, si è recata in visita al centro per raccogliere testimonianze e informazioni sulle condizioni di vita dei detenuti. Solo a due membri della delegazione è stato consentito di accedere alle strutture di detenzione. Ma il resoconto della visita, riportato dai media ufficiali del Patriarcato latino e pervenuto all'Agenzia Fides, riesce comunque a trasmettere un'immagine eloquente delle giornate vissute nel campo dai detenuti.
Al momento, la struttura ospita 2300 uomini. Ma sono in corso lavori per aumentare la ricettività del centro. I detenuti vengono contati 3 volte al giorno e la libertà di movimento concessa loro durante il giorno rimane del tutto teorica, visto che il centro si trova nel deserto, lontano da centri abitati, e i detenuti non possono usare mezzi di trasporto per muoversi. I reclusi dormono in stanze con dieci posti letto. La stragrande maggioranza di loro appartiene alla Chiesa copta ortodossa eritrea, e tra loro operano tre sacerdoti. Il caldo soffocante, il vuoto delle giornate, le carenze dal punto di vista alimentare e sanitario confermano l'impressione di trovarsi in un campo di prigionia. “Perché siamo qui? Quale crimine abbiamo commesso? Quando ci rilasceranno?” sono le domande più frequenti raccolte tra i detenuti dalla delegazione del Patriarcato latino. La gran parte di loro teme il rimpatrio forzato in Eritrea o Sudan, che porrebbe a rischio la vita di molti. Per re ndere meno penosa la vita nel campo, chiedono un miglioramento dell'assistenza sanitaria e l'invio di libri e insegnanti per riempire le giornate vuote.
Attualmente i richiedenti asilo in Israele sono 50mila. Ma le richieste di asilo presentate nel 2013 sono soltanto 43. (GV) (Agenzia Fides 17/5/2014).
Al momento, la struttura ospita 2300 uomini. Ma sono in corso lavori per aumentare la ricettività del centro. I detenuti vengono contati 3 volte al giorno e la libertà di movimento concessa loro durante il giorno rimane del tutto teorica, visto che il centro si trova nel deserto, lontano da centri abitati, e i detenuti non possono usare mezzi di trasporto per muoversi. I reclusi dormono in stanze con dieci posti letto. La stragrande maggioranza di loro appartiene alla Chiesa copta ortodossa eritrea, e tra loro operano tre sacerdoti. Il caldo soffocante, il vuoto delle giornate, le carenze dal punto di vista alimentare e sanitario confermano l'impressione di trovarsi in un campo di prigionia. “Perché siamo qui? Quale crimine abbiamo commesso? Quando ci rilasceranno?” sono le domande più frequenti raccolte tra i detenuti dalla delegazione del Patriarcato latino. La gran parte di loro teme il rimpatrio forzato in Eritrea o Sudan, che porrebbe a rischio la vita di molti. Per re ndere meno penosa la vita nel campo, chiedono un miglioramento dell'assistenza sanitaria e l'invio di libri e insegnanti per riempire le giornate vuote.
Attualmente i richiedenti asilo in Israele sono 50mila. Ma le richieste di asilo presentate nel 2013 sono soltanto 43. (GV) (Agenzia Fides 17/5/2014).
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giovedì 15 maggio 2014
Chiudendo gli accessi legali, si spingono queste persone nelle mani dei trafficanti
AFRICA/LIBIA - “Bloccando i visti, l’Europa spinge i migranti nelle braccia dei trafficanti” dice p. Zerai
Tripoli (Agenzia Fides) - “Ci sono almeno due fattori che spiegano l’aumento del numero di persone che cercano di attraversare il Mediterraneo con i barconi dei trafficanti” dice all’Agenzia Fides don Mussie Zerai Yosief, Presidente dell’Agenzia Habeshia per la cooperazione e lo sviluppo.
“In primo luogo, in Sudan le autorità locali stanno facendo retate di stranieri in posizione irregolare a Khartoum e in altre città. Si tratta in particolare di cittadini etiopi ed eritrei, che vengono rinviati nei loro Paesi, dove sono soggetti a persecuzioni. L’insicurezza nella quale vivono queste persone diventa quindi una spinta per raggiungere l’Europa”.
“Ogni giorno - aggiunge p. Zerai - nei campi profughi sudanesi vengono rapite delle persone per essere vendute nel Sinai. Altre vengono rapite al confine tra Sudan, Libia ed Egitto, un vero triangolo maledetto, dove ci sono i container nei quali sono rinchiusi gli ostaggi catturati. I sequestratori in un primo momento si mettono in contatto con i familiari dei rapiti per chiedere un riscatto. Se la famiglia non può pagare, gli ostaggi vengono venduti ad altri trafficanti che li trasportano in Egitto, dove sono usati come schiavi nell’agricoltura e nelle costruzioni. Altri sono coinvolti a forza nei traffici di armi e di droga, altri ancora diventano vittime del traffico di organi”.
Lo stesso – prosegue p. Zerai - accade in Libia, dove i migranti sono continuamente ricattati, derubati o rinchiusi in centri di detenzione dai quali per uscire devono pagare altri 700-1000 dollari”.
P. Zerai precisa: “non è vero che esistano controlli alla frontiere libiche. Il controllo alle frontiere libiche esiste ma si è trasformato in un business, e questo fin dai tempi di Gheddafi, che ha sempre giocato su più tavoli, da un lato chiedendo aiuto all’Europa per potenziare i controlli frontalieri, e dall’altro facendo affari con i trafficanti. Lo stesso accade oggi, solo che non vi è un regime ma centinaia di milizie coinvolte in questo sporco gioco”.
P. Zerai afferma che “le frontiere meridionali della Libia sono ben presidiate per controllare i migranti provenienti da Ciad, Niger, Sudan, dai miliziani, i quali però stanno facendo affari con i trafficanti. Ogni persona deve pagare 700-1000 dollari per entrare in Libia, più un’altra cifra per attraversare il Mediterraneo con i barconi. Prima di partire i migranti hanno già raccolto la cifra necessaria a superare i vari posti di blocco”.
“La responsabilità di questa tragedia è in parte anche europea” dice il sacerdote, venendo alla seconda causa dell’aumento del flusso migratorio, “perché le Ambasciate degli Stati europei hanno bloccato il rilascio dei visti. Ad esempio le ambasciate italiane in Etiopia, in Sudan, in Kenya e in Uganda, stanno tenendo bloccati i visti di migliaia di donne e bambini, in attesa di venire in Italia per ricongiungersi con i loro parenti, nonostante la concessione del nullaosta da parte del Ministero dell’Interno. La disperazione di queste persone le sta spingendo a tentare la via libica per raggiungere clandestinamente l’Italia. Chiudendo gli accessi legali, si spingono queste persone nelle mani dei trafficanti” conclude il sacerdote. (L.M.) (Agenzia Fides 15/5/2014)
“In primo luogo, in Sudan le autorità locali stanno facendo retate di stranieri in posizione irregolare a Khartoum e in altre città. Si tratta in particolare di cittadini etiopi ed eritrei, che vengono rinviati nei loro Paesi, dove sono soggetti a persecuzioni. L’insicurezza nella quale vivono queste persone diventa quindi una spinta per raggiungere l’Europa”.
“Ogni giorno - aggiunge p. Zerai - nei campi profughi sudanesi vengono rapite delle persone per essere vendute nel Sinai. Altre vengono rapite al confine tra Sudan, Libia ed Egitto, un vero triangolo maledetto, dove ci sono i container nei quali sono rinchiusi gli ostaggi catturati. I sequestratori in un primo momento si mettono in contatto con i familiari dei rapiti per chiedere un riscatto. Se la famiglia non può pagare, gli ostaggi vengono venduti ad altri trafficanti che li trasportano in Egitto, dove sono usati come schiavi nell’agricoltura e nelle costruzioni. Altri sono coinvolti a forza nei traffici di armi e di droga, altri ancora diventano vittime del traffico di organi”.
Lo stesso – prosegue p. Zerai - accade in Libia, dove i migranti sono continuamente ricattati, derubati o rinchiusi in centri di detenzione dai quali per uscire devono pagare altri 700-1000 dollari”.
P. Zerai precisa: “non è vero che esistano controlli alla frontiere libiche. Il controllo alle frontiere libiche esiste ma si è trasformato in un business, e questo fin dai tempi di Gheddafi, che ha sempre giocato su più tavoli, da un lato chiedendo aiuto all’Europa per potenziare i controlli frontalieri, e dall’altro facendo affari con i trafficanti. Lo stesso accade oggi, solo che non vi è un regime ma centinaia di milizie coinvolte in questo sporco gioco”.
P. Zerai afferma che “le frontiere meridionali della Libia sono ben presidiate per controllare i migranti provenienti da Ciad, Niger, Sudan, dai miliziani, i quali però stanno facendo affari con i trafficanti. Ogni persona deve pagare 700-1000 dollari per entrare in Libia, più un’altra cifra per attraversare il Mediterraneo con i barconi. Prima di partire i migranti hanno già raccolto la cifra necessaria a superare i vari posti di blocco”.
“La responsabilità di questa tragedia è in parte anche europea” dice il sacerdote, venendo alla seconda causa dell’aumento del flusso migratorio, “perché le Ambasciate degli Stati europei hanno bloccato il rilascio dei visti. Ad esempio le ambasciate italiane in Etiopia, in Sudan, in Kenya e in Uganda, stanno tenendo bloccati i visti di migliaia di donne e bambini, in attesa di venire in Italia per ricongiungersi con i loro parenti, nonostante la concessione del nullaosta da parte del Ministero dell’Interno. La disperazione di queste persone le sta spingendo a tentare la via libica per raggiungere clandestinamente l’Italia. Chiudendo gli accessi legali, si spingono queste persone nelle mani dei trafficanti” conclude il sacerdote. (L.M.) (Agenzia Fides 15/5/2014)
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mercoledì 14 maggio 2014
270 lavoratori
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- Aussa Corno, troppe nubi sul futuro di 270 lavoratori
Aussa Corno, troppe nubi sul futuro di 270 lavoratori
martedì 13 maggio 2014
Un vescovo o un prete che non sa cosa sia il servizio non è un buon pastore
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giovedì 8 maggio 2014
Atomizzatori novità
Alleanza tra Maschio Gaspardo e Friuli Sprayers
Spinta alla produzione di atomizzatori per vigneti e frutteti per i mercati esteri
venerdì 2 maggio 2014
Due articoli per il primo maggio in Friuli
Pordenone capitale del lavoro (che non c'è)
L'ultima volta che il Friuli ha ospitato la celebrazione nazionale per la festa del Primo maggio è stato esattamente dieci anni fa. Nel 2004, infatti, i ...
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Il Guardian e la laguna
Turismo: The Guardian esalta magia della Laguna di Grado eMarano
(AGI) - Trieste, 30 apr. - The Guardian si e' davvero innamorato del Friuli Venezia Giulia: dopo l'articolo dello scorso anno sui sapori del Collio, ...
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